
Sabbia, palme da cocco, mare cristallino e carrozze trainate da cavalli... vacanza tranquilla e rilassante voi penserete. Era quello che pensavo anch'io e all'inzio è andata proprio così; più avanti, invece, non proprio...
Abbiamo prenotato tre notti alle Gili Islands (su Gili Trawangan per l'esattezza) e avevamo solo vaghe idee delle attività a cui ci saremmo potuti dedicare: volevamo infatti esplorare le isole e lasciare che fossero istinto e curiosità a guidarci verso nuove esperienze. Così è stato.
Il primo giorno siamo andati prevalentemente in avanscoperta, noleggiando delle bici scassate nel posto dove alloggiavamo, che più che un albergo sembrava un villaggio temporaneo costruito da nomadi. Ma nonostante qualche piccolo e insignificante problema dovuto alla mancanza di acqua calda, aria condizionata rotta e letti con le assi non proprio tutte a posto, i signori ospitanti erano simpatici e cordiali, oltre che evidentemente sottopagati, perciò non potevamo lamentarci.
Come dicevo, abbiamo deciso di girare l'isola in bicletta e, tra strade sterrate percorse sotto il sole cocente e mendicanti qua e là che cercavano affabilmente di vederci dell'erba, abbiamo passato una bella giornata, esplorando, ma anche riposando e bevendo ottimo succo di cocco.
Nei giorni seguenti abbiamo deciso che avremmo visitato le altre isole e così abbiamo fatto.
Prima siamo andati sulla Gili Meno, quella di dimensioni più piccole, e dopo un bellissimo giro nella natura selvaggia di un'isola quasi disabitata (vedrete dalle foto che abbiamo incontrato anche una mucca e Elena ha tentato, con scarsi risultati, di fare amicizia) ci siamo fermati a mangiare. Il posto, esteticamente meraviglioso, sfortunamente non aveva tra i punti di forza né il cibo, né il servizio ai tavoli, ma poco più avanti la stessa gestione offriva alcune attività private in mare aperto e seppur titubanti, abbiamo voluto credere che con questo potessero riscattarsi.
Tralasciando le solite pacate discussioni per pattuire il prezzo, siamo partiti alla volta di tre bellissime insenature dove ad aspettarci c'erano: una gran moltitudine di meravigliose tartarughe marine, i suggestivi resti di una nave arroccata sul fondale e di una grande statua e infine la barriera corallina.
Il nostro terzo giorno, nonostante in certi libri venga visto come quello della rinascita, è stato senza dubbio quello che ci ha messo maggiormente alla prova.
Siamo partiti alla volta dell'isola intermedia: Gili Air. L'intenzione iniziale era quella di esplorarne ogni angolo, ma la nostra visita si è conclusa davanti all'insegna "DPM Diving". Curiosi, ci siamo lasciati intrattenere dai simpaticissimi gestori, Mechi e Juan, che sono riusciti molto rapidamente a convincerci a provare un'immersione con le bombole.
Non includerò in questo articolo tutti i dettagli dell'immersione, ma vi assicuro che, malgrado quanto sia successo dopo, è stata forse l'esperienza più bella dell'intera vacanza: il costo non è basso, ed equivale circa a quello che spendereste per cena saziandovi in un bel ristorante, ma vi posso assicurare che ne vale davvero la pena, anche se non l'avete mai fatto prima. Come unico accorgimento vi dico solo di controllare bene che il servizio offerto sia di qualità, perché l'esperienza è meravigliosa, ma per non correre brutti rischi tutte le misure di sicurezza devono essere rispettate rigorosamente.
Tornati a casa dopo questa splendida avventura, Elena ha mi ha detto di provare un senso di nausea e di sentirsi dell'acqua dentro alle orecchie.
Si è messa a letto e ha iniziato a stare sempre peggio, perciò abbiamo pensato di contattare Mechi, che sicuramente ci avrebbe risposto gentilmente.
Dopo un attimo di incomprensione su chi dovesse prendere iniziativa (penserete "tu ovviamente, lei non era nelle condizioni!" ma devo contraddirvi perché Elena non ama particolarmente delegare le questioni che la riguardano), ci siamo resi conto che l'unico cellulare su cui fosse presente il contatto di Mechi (il suo) era sparito.
Se prima di quel momento stavo vestendo i panni del miglior infermiere in città, adesso ero subito scattato sull'attenti per ricevere ordini dal comandante, ma già ero conscio del tipo di missione che mi avrebbe atteso.
Devo dire, a sua discolpa, che ha tentato di dissuadermi e di non farmi uscire di notte sull'isola a cercare qualcosa chissà dove.
Ma come ogni eroe che si rispetti e che pensi non al proprio benessere ma a quello dei suoi cittadini, io mi ero già messo scarpe da corsa (cioè le uniche che avevo portato), maglietta e pantaloncini da assalto.
Ho promesso ad Adrian...Elena che sarei stato di ritorno vincitore, quindi sono corso fuori ad affrontare la frizzante aria notturna.
Conscio che il tempo non fosse dalla mia parte, ho iniziato a correre, combattendo contro la mia prepotente miopia per ricoscere il sentiero, e affidandomi all'istinto.
Giunto all'incrocio principale dopo una manciata di secondi, quando qualunque altro mortale sarebbe ancora stato a chiudere la porta di casa, ho deciso che sarei andato diretto al centro DPM Diving, in cui avevamo pagato poche ore prime, e che per fortuna si trovava sulla nostra isola.
Mentre sfrecciavo superando i cavalli che mi osservavano rancorosi venivo salutato da alcuni passanti, che evidentemente riconoscevano un'impresa quando ne vedevano una.
Ben presto i miei cittadini hanno deciso di sostenermi e per questo molte mani si aprivano lungo la mia strada, per battere la mia e darmi la carica.
Sebbene apprezzassi il gesto, ho deciso di rimanere umile, senza fermarmi e tenendo ben presente l'obbiettivo.
Sono arrivato al centro DPM accolto da sguardi increduli ma accoglienti e, dopo una breve spiegazione di quanto successo e alcune rassicurazioni da parte di Juan che mi tranquillizzava dicendomi che poteva capire e che il fastidio sarebbe passato a breve, ho trovato e ottenuto il telefono di Elena; la mia missione, però, non era finita...
Nonostante avessi il cellulare, avevo lasciato Elena a casa dolorante e la situazione di sicuro non era migliorata perciò, dopo essere tornato a casa stabilendo un nuovo record di velocità (con qualche attimo di defaticamento, lo ammetto) ed avere consegnato il trofeo alla proprietaria, mi sono precipitato nuovamente fuori in cerca di un servizio medico.
Grazie alle mie abilità di mimo e a qualche ululato sono riusciuto a farmi indicare il centro medico più vicino, quindi, una volta raggiunta una baracchetta dall'aspetto non troppo rassicurante, ho sfoggiato un inglese di chiara matrice indonesiana per farmi comprendere meglio da quello che diceva di essere il dottore.
Dopo l'amabile chiacchierata tornai da Elena che, per qualche motivo (forse non del tutto biasimabile), non aveva tutta questa voglia di farsi visitare e sosteneva di sentirsi meglio.
Compiuta la mia missione mi sono seduto, acclamato dai molti ma silenziosi applausi, e godendomi il momento di velata gloria.
Il giorno dopo è stato normale, sempre che si possa definire qualcosa in tal modo, ma ero consapevole che fosse solo l'inizio.



